
Le giovani generazioni fondamentali per salvare Ghea
Sabato 5 giugno è la giornata mondiale dell’ambiente. Questo giorno è stato istituito il 15 dicembre del 1972 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con lo scopo di spingere i cittadini a essere più consapevoli del danno che sta subendo la terra a causa delle nostre attività.
Nel 1972 si è iniziato a osservare il pianeta in cui viviamo. Tuttavia solo recentemente il cambiamento climatico si è presentato come una vera minaccia, tanto da fare entrare il pianeta nell’agenda politica 2020/2030. È un passo enorme quello che è stato fatto, ma i cambiamenti da portare avanti sono ancora tanti.
Il 5 giugno, in coincidenza con la giornata mondiale per l’ambiente, viene inaugurato il decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino degli Ecosistemi: è proprio questo il tema che è stato posto per il 2021. Ma cosa significa esattamente?
Il termine ecosistema è stato coniato nel 1935 ed indica un’unità ecologica costituita da 2 componenti in stretta relazione. La prima componente rappresenta le specie viventi, la seconda l’ambiente fisico-chimico in cui essi vivono. Tra gli organismi e l’ambiente si instaurano delle relazioni che danno vita a un continuo scambio di energia. Esempi di ecosistemi più grandi in assoluto sono: la giungla, il deserto, le foreste, il mare, i fiumi e i laghi. Questi luoghi che ospitano gran parte della biodiversità sulla terra sono così grandi che sembrano irraggiungibili per l’uomo. Sembra che non riguardino la nostra vita quotidiana. Non è così. Gran parte della CO2 che emettiamo viene assorbita dalle piante che compongono le foreste e la giungla e dalle piante marine che vivono nelle acque basse, dai coralli, eccetera. Queste piante convertono l’anidride carbonica assorbita nell’ossigeno che respiriamo. L’insieme di tutti gli ecosistemi permettono la vita sulla terra. Se anche solo uno di essi venisse distrutto, vivremmo un fortissimo aumento delle temperature, verrebbero assorbite molte meno particelle inquinanti. Ma se l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha posto come tema di questo decennio proprio il restauro degli ecosistemi, vuol dire che questi sono già fortemente danneggiati e che esiste una possibilità per renderli ancora funzionanti. Questo, però, dipende da noi.
Prendiamo come esempio i coralli. Questi fantastici animali sono una grande attrazione turistica in quanto ospitano gran parte delle biodiversità marina. La barriera corallina tropicale occupa meno dell’0,1% della superficie dei fondali marini ma ospita da uno a nove milioni di specie animali. I coralli sono ricoperti da piccole alghe che durante il giorno assorbono l’anidride carbonica e sono fonte di nutrimento per molte specie che vivono proprio nelle barriere. Tuttavia negli ultimi anni quando si parla di coralli, siamo costretti a parlare di sbiancamento. Ovvero: le alghe che vivevano sopra i coralli muoiono perché i coralli, a causa dell’aumento delle temperature dell’acqua conseguente alla diminuzione dell’acidificazione dei mari, non hanno più energia per permettere ad altre creature di vivere come loro ospiti. Spiegato in soldoni, possiamo dire che i coralli si privano del cibo per risparmiare tutte le energie per sopravvivere. Di conseguenza la perdita è reciproca: i coralli muoiono a causa delle particelle inquinanti che emaniamo nell’atmosfera e noi perdiamo un’enorme quantità di biodiversità e, con essa, esseri viventi che assorbono le nostre emissioni.
Lo stesso identico discorso vale anche per la giungla. La foresta amazonica viene chiamata “il polmone verde” per indicare quanto O2 produce. Tagliamo gli alberi disboscando le foreste pensando che ci sia utile per avere più terreni edificabili o banalmente per la produzione della carta o per trasformare i terreni alberati in pascoli. Ma non ci rendiamo conto che stiamo infliggendo danni a noi stessi. È come dire che per costruire una casa ci togliamo dell’ossigeno.
Continuando a tagliare alberi, a surriscaldare le temperature dei mari, mettiamo a rischio la vita di un milione di specie animali e vegetali e, contemporaneamente, distruggiamo il nostro polmone verde.
La soluzione per proteggere questi paradisi terrestri non è così complicata. Prima di tutto bisogna aumentare le aree protette in modo che gli animali trovino un punto in cui riprodursi, in cui ci sia sempre una parte del polmone funzionante. Successivamente bisogna cercare diminuire le emissioni nel quotidiano, favorendo, per esempio, gli spostamenti in treno piuttosto che in aereo o in bici piuttosto che in auto.
La strada da fare è ancora tanta, ma se impariamo a prenderci cura del pianeta che ci ospita, la strada intrapresa sarà quella giusta per la guerra al cambiamento climatico di origine antropica.
Vittoria Arfini (attivista Sodales)